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Agnese Amaduri (Catania) wird ab dem 3. Juli 2025 als Humboldt-Stipendiatin an der Universität Stuttgart (Abteilung Romanische Literaturen II) forschen.
Ebenfalls 2018 erlangte Agnese Amaduri die National Scientific Qualification als Associate Professor in Italienischer Literatur. Seit 2019 ist sie als Ricercatore RTD-A für Italienische Literatur am Dipartimento di Scienze Umanistiche der Università degli Studi di Catania tätig.
Sie verfügt über einen beeindruckenden akademischen Werdegang mit zwei abgeschlossenen Promotionen:
Ihre erste Doktorarbeit in Moderner Philologie beendete sie 2008 mit dem Titel Sub specie lusus. Giovan Guglielmo Bonincontro e il Sant’Uffizio in Sicilia.
Ihre zweite Dissertation schloss sie 2018 im Bereich Cultural Heritage ab, mit dem Thema L’Officina de I Viceré. La genesi del romanzo attraverso l’epistolario.
Ihre wissenschaftliche Arbeit führte sie an renommierte Institutionen weltweit, darunter die Universitäten von Oxford, Melbourne und Stuttgart. Zuletzt war sie im Juni und Juli 2023 als Ermete-Fellow in Stuttgart tätig. Sie konnte während ihres Aufenthaltes ihr Forschungsprojekt Donne e Fede nel Cinquecento: la costruzione dell’identità soggettiva nel dialogo con Dio weiter voranbringen. Im Rahmen ihres Aufenthalts hielt sie eine inspirierende Lunch Lecture zum Thema Insanity and Violence in the Italian Novels of the Cinquecento. Darüber hinaus bereicherte sie unsere Studierenden mit spannenden Einblicken in das Thema Le donne poetesse nel Rinascimento italiano.
Die Forschungsinteressen von Agnese Amaduri sind breit gefächert und umfassen:
- Novellen, insbesondere von Grazzini und Giovan Guglielmo Bonincontro
- Komische und satirische Lyrik
- Frauenlyrik und ihre Verbindung zu Glaubensfragen (mit Fokus auf Vittoria Colonna, Isabella Morra und Gaspara Stampa)
- Renaissancekunst und -kultur, insbesondere im Kontext von Reformation und Magie
- Women’s Studies
- Die Verbindung zwischen religiöser Heterodoxie und Literatur während der Renaissance sowie dem Libertinismus im 18. und der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts
- Werke von Leonardo Sciascia, Federico de Roberto und Annie Vivanti
Follia e violenza nella novella italiana del Cinquecento
La follia è un tema caro al Cinquecento che ne sviluppa le numerose possibili declinazioni ereditate dalla filosofia classica e maturate nel corso dell’Umanesimo. La follia, sin dall’antichità, grazie alla preponderanza assegnata a questo tema nel Fedro di Platone, è stata associata al furor poetico, a quella sorta di rapimento estatico in cui l’autore si lascia attraversare dall’energia creativa, preda di un raptus. Nell’era cristiana, la pazzia, pur considerata una malattia, ha comunque trovato un esito positivo nella predicazione francescana, che ha recuperato l’immagine del giullare di Dio proposta dallo stesso San Francesco per raccontare l’amore folle per il Creatore, quell’amore che fa stimare pazzi agli occhi di chi non l’ha mai provato (come nella lauda O iubelo del core di Iacopone da Todi).
Tuttavia, nel Cinquecento a questi modelli di insania se ne aggiungono altri. Il più noto è certamente quello proposto da Erasmo, nel suo Moriae encomium, in cui la follia ha una funzione demistificatrice, svelando la corruzione e la perdizione in cui versa il cristianesimo del tempo. Un altro modello fondamentale è rappresentato dalla pazzia di Orlando, nel Furioso di Ariosto, che propone sia una follia positiva, intesa come velame, come filtro, che aiuta l’uomo a vivere il proprio tempo mantenendo una parziale inconsapevolezza, sia una follia devastante che nasce dall’impatto distruttivo tra realtà soggettiva e realtà oggettiva. Dopo un breve excursus sulla proteiforme natura della follia, è proprio sulla declinazione tragica di essa che mi soffermerei, osservando come nella novellistica del Cinquecento la pazzia si leghi spesso ai temi della beffa e della violenza. Prendendo le mosse da Le Cene (1544 circa) di Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca, sul quale ho pubblicato un recente contributo in volume in inglese (Deception and Folly in Anton Francesco Grazzini. Reflections on Le Cene and other works, 2022), e attraversando le raccolte più tarde di Giovan Battista Giraldi Cinzio (gli Hecatommithi, 1565) e di Matteo Bandello (Novelle, 1554 e 1573) osserveremo come il Rinascimento abbia sviluppato una peculiare visione della follia. Essa scaturisce dall’incapacità, da parte dell’individuo, di decodificare una realtà mutevole e ingannatrice, di inserirsi all’interno di un tessuto sociale sempre più gerarchizzato e cristallizzato, di trovare collocazione in un “mondo senza compassione” (E. Menetti, Dopo Boccaccio. Il mondo senza compassione, in Boccaccio e i suoi lettori, Bologna, 2013, pp. 289-306). L’esistenza dei personaggi, spesso a causa di beffe crudeli e sempre più complesse o di violenze materiali e psicologiche, frana verso il baratro della pazzia da cui raramente si può riprendere. L’identità individuale così frantumata e sconvolta non può più ricomporsi e il personaggio diviene estraneo alla propria comunità d’origine, giungendo a percorrere la strada dell’esilio o della morte.